Ecco le prime 2700 parole del mio nuovo racconto, il primo della serie post-apocalisse Skavengers. Prima stesura, senza editing, probabilmente con molti errori di battitura. Dovrebbe uscire in ebook gratuito su Kindle Unlimited a fine Gennaio 2015. Ho fatto l’outline di sette episodi, ma se mi conosco, cambieranno molto in fase di scrittura.

Primo episodio
FUGA DAL 21
Prew-Dance era con le spalle al muro. L’uomo che le si parava davanti, un tipo grasso dalla pelle lucida di sudore, aveva già iniziato a calarsi i pantaloni.
“Ti ho detto che non lo faccio più. Ne sono fuori. Stammi lontano.”
Sul volto dell’uomo si aprì un sorriso sdentato. Bava rosata gocciolò dalla sua bocca. Masticatore di Kaa, pensò Prew.
“Come no, capelli blu. Non prendermi per il culo, carina. Ho visto il marchio che porti. Dai, non ci metteremo molto. Mi hanno parlato molto bene di te. Dicono che sei tutta un fuoco, e io voglio vedere sei blu anche lì sotto. Sono giorni che aspetto.”
Prew stirò la manica della maglietta in modo da scoprire il triangolo che la marchiava come prostituta.
“Sto andando al centro per l’impiego a farlo modificare. Guarda, manca un solo segno. Il debito è praticamente pagato” disse lei, alzando la manica della t-shirt. Alla base del triangolo, disegnato da una semplice linea blu, c’erano cinque piccoli quadrati. Su quattro era tatuato un segno di spunta. L’ultimo, quello che avrebbe segnato la fine del debito di Prew, era ancora vuoto.
Ma l’uomo non lo degnò di uno sguardo, continuando invece a fissare il petto di Prew. E non era certo il disegno del topo zannuto sulla t-shirt logora della ragazza ad attrarre i suoi occhi.
L’uomo le si avvicinò, al punto che Prew potè percepire il suo fiato maleodorante. Come un odore di carogna appena mascherato da un aroma dolciastro. Il Kaa, pensò, notando i denti macchiati di rosso.
La fibbia della cintura era aperta. L’uomo teneva un capo della cintura in ogni mano.
“Beh, ti manca ancora un segno. Sarò felice di fartelo tatuare io, a mie spese, se ti comporti bene. Mi sono sempre piaciute quelle come te, un po’ riottose. Ho il gusto della caccia. Passa un paio di settimane con me. Mangerai tutti i giorni e faremo un bel segno su quell’ultimo quadratino.”
Prew valutò le sue opzioni. Avrebbe potuto mollargli un calcio nei testicoli e lasciarlo lì, in terra in quel vicolo del Complesso 21, ma l’uomo l’avrebbe poi denunciata al centro per l’impiego e lei sarebbe stata davvero nei guai. Magari le avrebbero tatuato sotto al triangolo altre tre o quattro o caselle di spunta.
Vuote.
Ognuna corrispondente ad almeno un anno. Un anno di abusi. Un anno come una senza-diritti, condannata dalla giovane età, dalla bellezza e dall’assenza di mutazioni repellenti ad essere la schiava sessuale di chiunque fosse munito di un pene e di un sigillo di cittadinanza C 21.
Un calcio nelle palle, pensò. Uno solo. Come mi piacerebbe. Farla pagare a uno solo per tutti. Ma poi non uscirei da questa merda prima dei 25 anni.
Prew deglutì. L’uomo era così vicino che poteva sentire il calore del suo corpo e i miasmi che salivano dalle sue mutande sporche.
No, non poteva reagire.
Però, c’era l’opzione due.
Poteva funzionare. Una volta aveva funzionato…
Però se veniva scoperta, sarebbe stato ancora peggio.
Prew chiuse gli occhi.
Puoi darmi una mano, di corsa? Adesso? Pensò.
Nessuno rispose.
Lo so che sei lì, che mi segui. Ti ho sentito prima.
Nessuno rispose.
Prew deglutì di nuovo e chiuse gli occhi, mentre i pantaloni dell’uomo cadevano con un fruscìo. Mani sudate iniziarono a palparla.
“Mi piaci, capelli blu. Mi ricordi tanto mia figlia. Posso chiamarti Rebecca mentre lo facciamo?”
Ti prego, pensò Prew, e quelle due brevi parole le attraversarono la mente come proiettili, rimbalzarono più volte sulle pareti interne del cranio finché trovarono l’uscita e schizzarono fuori dalla sua testa.
Ti prego, so che sei lì, aiutami!
Prew ebbe la sensazione che tutto le girasse attorno. Il pavimento di cemento all’improvviso sembrò gomma sotto ai suoi scarponi.
Sto svenendo, pensò. Meglio così. Questo tizio farà quello che deve fare e io non mi accorgerò di niente, e speriamo che non sia così fatto di kaa da dimenticare di lasciarmi il cred, o da sbattermi la testa sul pavimento e lasciarmi qui a morire.
La mano dell’uomo le accarezzò il ventre liscio. Il pollice indugiò nell’ombelico mentre le altre quattro dita, ruvide di calli, scendevano a rovistarle nei pantaloni. Prew sentì come un fiore di ghiaccio che le si schiudeva nel ventre.
Se tutto va bene mi risveglierò, andrò da Ma’ Thuri a prendere la spaccapancia, perché che io sia dannata se voglio partorire il figlio di questo bastardo, e poi andrò al centro per l’impiego a versare il cred, e quando ne avrò altri settantanove mi tatueranno l’ultimo segno di spunta e il mio debito sarà cancellato e me ne andrò da questo posto di merda.
La mano dell’uomo aveva raggiunto la sua intimità. Lui emise un rantolo catarroso e uno spruzzo dolciastro di kaa.
Svenire mentre mi si fanno. Non è poi così male. In fondo, non è mica la prima volta che mi succede, no? Svenire è come dormire, ma senza sogni. E ho dormito molto, in questi anni.
Prew sentì un sibilo.
Fssshinn!
All’inizio le sembrò uno degli sfiatatoi che pompavano vapore caldo dal soffitto di cemento. Poi si rese conto che il sibilo non era nelle sue orecchie.
Era nella sua mente.
Credevo che non mi volessi vedere più, disse la voce nella sua testa.
Prew sentì come un vento che la attraversava. Aprì gli occhi, appena in tempo per vedere un’espressione di terrore che si stampava sul volto del suo aggressore.
L’uomo era inginocchiato davanti a lei, il membro floscio che penzolava dai pantaloni calati. Un filo di bava gli colava dalla bocca. Gli occhi erano sgranati, come se avessero visto la morte e tutti i diavoli dell’inferno ballare la quadriglia. Le mani dell’uomo rovistavano nelle tasche dei pantaloni stesi sul cemento.
Prew tornò a respirare.
“Non ho niente contro di te, Snö. Proprio niente. Anzi, ti considero un amico.”
La voce nella sua testa emise l’equivalente telepatico di uno sbuffo.
La mano dell’uomo riemerse con un rettangolo di plastica. Prima del disastro, le aveva spiegato Platone, le chiamavano schede di credito, o carte, o qualcosa del genere. Oggi erano i crediti sociali, i cred. Su quel cred c’era un simbolo iridescente, una serie di lettere e numeri, e la foto di una bella ragazza sorridente dai capelli rossi. Chissà chi era, si chiese Prew. Sicuramente non faceva la prostituta. Non c’erano le prostitute, prima del disastro, e tutti si volevano bene perché mangiavano ciambelle e bevevano caffellatte in bicchieri di carta così grandi che con uno solo ci avresti sfamato una famiglia, e gli animali camminavano tutti a quattro zampe e per lo più non parlavano.
Prew respirò a fondo, sfilò il cred dalle mani dell’uomo e corse via, verso il centro d’impiego.
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Quando Prew tornò alla baracca, trovò Platone accovacciato in terra che faceva manutenzione al suo fucile d’assalto. L’aveva smontato e ne teneva i pezzi su una coperta di tela grezza.
“Plat, sono a casa.”
“Giusto in tempo. Vedi questo pezzetto qui? Dovresti farlo scivolare qui dentro. io non ci riesco. Sai com’è, dita di coccodrillo.”
Il mutato mostrò le dita tozze e coperte di squame. Non erano adatte a lavori di precisione. Prew eseguì le sue indicazioni mentre Platone la scrutava con gli occhi gialli da rettile.
“Sei una benedizione, mia cara ragazza. Umani di razza pura, signori del creato, maestri nell’uso del pollice opponibile, inventori delle scienze esatte. Ci sarebbe da farsi venire un complesso d’inferiorità.”
“Uhm. Ecco, fatto.” Prew restituì i pezzi del fucile al coccodrillo mutato.
“Giornata interessante, mia cara?”
Prew alzò la manica sinistra e mostrò l’ultimo segno di spunta sotto al triangolo.
Platone emise un lungo suono di risucchio e sfregò le zanne. A un osservatore casuale poteva sembrare un mostro affamato che si leccava i baffi prima di scagliarsi su una preda, ma Prew sapeva che era un’espressione di approvazione.
“Dobbiamo festeggiare allora!” disse il mutato, alzandosi in piedi. “Dove ho messo quelle bistecche di ratto?”
Poi si voltò verso Prew. Le pupille si strinsero in due tagli verticali neri nei grandi occhi gialli sporgenti.
“Credevo te ne mancassero ancora parecchi, Prew-Dance. Dove hai trovato i cred?”
Prew fece spallucce.
“Ah. Allora aspetto prima di chiamare la banda.”
Platone chiuse la madia. “Hai chiesto aiuto a quello.”
Prew annuì di nuovo. Platone sospirò, per quanto lo potesse fare un coccodrillo antropomorfo. I ratti secchi sarebbero restati nella madia. Il coccodrillo alzò l’indice destro. Prew sapeva che cosa stava per accadere.
Stava per arrivare una ramanzina.
“Sai che succede se ti beccano con quello, no? Ragazza mia, io ti amo come un cucciolo della mia covata, ma ti giuro, se vengono qui con una Squadra della Purezza, io fingerò di non conoscerti.”
Prew piegò la testa. Era sicura che il coccodrillo mentisse. Linguaggio figurato, si chiamava. A Platone piaceva tanto.
“È già tanto difficile per noi mutati, qui al 21.”
L’indice tozzo di Platone disegnava circoletti in aria. Il mento di Prew era così basso che le toccava il petto. Teneva gli occhi chiusi.
“Lo so, sì. Lo so. Scusa. Me lo avevi detto. Scusa. Ma un tizio mi voleva prendere, e non ce la facevo. Non per altre settantanove volte.”
Platone sospirò. L’indice smise di girare e il braccio scese lungo il tronco ricoperto di scaglie.
“Sono tempi difficili, ragazza mia. Tieni, mangia qualcosa.”
E mentre Prew sbocconcellava licheni e funghi secchi, deglutendo e inghiottendo le proprie lacrime, Platone imbracciava il fucile e teneva d’occhio la porta della baracca coi suoi grandi occhi gialli.
Le luci nel soffitto di cemento si spensero al fischio della sirena del coprifuoco. Prew-Dance si avvoltolò in una coperta piena di rammendi e cercò di dormire. Platone russava della grossa, seduto sulla vecchia seggiola di metallo, appoggiato al suo fucile. La grossa coda formava una spirale sotto la seduta della seggiola.
Era stato facile ingannare l’impiegato del centro. Gli aveva consegnato il cred del suo assalitore, e poi Snö aveva fatto il resto. Certo, aveva dovuto lasciare che la mente del mutante entrasse completamente dentro di lei e che potesse vedere coi propri occhi. Snö le aveva assicurato che quello fosse l’unico modo per operare la sua magia sull’impiegato.
Lascia fare a me, le aveva detto. Lasciami entrare dentro di te e farò in modo che il tuo cred si moltiplichi davanti ai suoi occhi. Un gruzzolo così grande da pagare tutta la tua libertà in un colpo solo. Se dobbiamo rischiare, Prew, facciamolo in grande stile.
E Prew lo aveva lasciato fare. Aveva sentito la mente di Snö, che se ne stava nascosto chissà dove, forse al 20 sopra alla sua testa, o forse addirittura in superficie, ma non aveva mai smesso di seguirla, sgattaiolare tra i suoi molti ricordi e i suoi pochi segreti. Era sorpresa, perché Snö era stato discreto ed aveva camminato sui suoi sentimenti con passo molto delicato.
Snö era andato in fissa per lei, questa era la verità. Era la cosa più simile all’amore che lei avesse mai avvertito in qualcuno. Certo, c’era un po’ — anzi, un bel po’ — di attrazione sessuale a mischiare le cose. Snö non ne faceva mistero. Però la rispettava. Coi suoi poteri mentali, avrebbe potuto costringerla, manipolarla. Avrebbe potuto prenderla e farle dimenticare poi tutto.Ma non aveva fatto niente di tutto questo.No, Snö le voleva bene. E forse lei avrebbe dovuto volerne a lui.
Ma non ci riusciva. Non avrebbe mai potuto funzionare, tra loro. Lei era una umana di razza pura, catalogata come triplo alfa nonostante i capelli blu, perché il catalogatore aveva prodotto una foto pre-disastro come prova che gli umani di razza pura potessero avere quella pigmentazione. E sì, probabilmente il fatto che andasse a letto con la madre di Prew aveva influito sulle sue capacità di giudizio. Che Dio salvi i catalogatori, amen, amen, amen.
Non poteva funzionare, perché lei era una triplo alfa. E Snö era un fottuto mutante albino, con gli occhi rossi come tizzoni, la pelle bianca come neve, la mente e i desideri di un giovane uomo intrappolati nel corpo di un ragazzino di tredici anni. Un corpo che non sarebbe mai cresciuto. Era un mutante gamma, un mangiamente, uno stupratore di cervelli, un possessore, e quelli come lui erano banditi da tutto il 21. Venivano uccisi, e chi li aiutava o solo parlava con loro senza denunciarne la presenza alle Squadre della Purezza faceva la stessa fine.
Prew si tirò a sedere e guardò Platone, che dormiva con le fauci spalancate, abbracciato al fucile come un bambino a una bambola di stracci. Sorrise. Quella massa di muscoli, scaglie e buone maniere era la cosa più bella che le fosse mai capitata. Platone era un uomo d’arme e aveva conquistato diritti speciali, normalmente negati ai mutati, quando aveva combattuto per il 21 nella Battaglia dell’Acqua. E quando il Cancro-che-Vola aveva portato via la madre di Prew-Dance, lui si era preso cura della ragazzina dai capelli blu, e le aveva insegnato l’arte di sparare con gli slugthrower ai rattifreccia del deserto.
Poi Prew era cresciuta, e il catalogatore aveva preteso che la figlia sostituisse la madre nel suo letto, o lui avrebbe revocato la tripla alfa. Gli slugthrower di Prew avevano smesso di sparare ai rattifreccia e avevano fatto fuoco sul catalogatore. Bang, bang, Bang. Dio salvi i catalogatori, amen, amen, amen. Triangolo nero per la ragazzina cattiva. Giù, giù nella buca del tatuatore, un mostro deforme e sudato, dalla lunga barba piena di zecche grosse come blatte. Debito sociale di cinque caselle. Cinque caselle dure da riempire. Il tatuatore e le sue zecche furono il primo cliente.
La voce di Snö bussò alla porta della mente di Prew, scuotendola dai suoi ricordi.
“Scappate,” urlò Snö. Il grido telepatico fu talmente forte che Prew lo sentì riverberare dalla propria mente a quella di Platone. Il coccodrillo mutato balzò in piedi imbracciando il fucile.
“ Vengono a prendervi!”
Platone ficcò gli artigli del piede destro in una fessura tra due assi del pavimento. Appoggiandosi alla coda massiccia per tenersi in equilibrio, sollevò un’asse.
“Prendi tutto!” disse a Prew. C’era una sacca di tela con un simbolo antico, una specie di virgola nera che si stagliava contro un grosso punto rosso. C’erano anche delle scritte, che Prew non sapeva leggere.
Prew tirò via la sacca. Era pesante.
“Armi. Roba dei tempi della Battaglia dell’Acqua” disse il coccodrillo mutato mentre scrutava fuori dalla baracca. Un ronzio annunciava l’accensione delle luci del complesso. Avevano pochi secondi per uscire dalla baracca e nascondersi.
Poi, Prew sentì i cani che guaiolavano. Mastini cacciamutanti! Potevano sentire di sicuro l’odore di Platone. e forse anche quello di lei, che proprio una tripla alfa non era.
Prew aprì la sacca. Una maschera antigas, un lungo coltello dalla lama seghettata, e poi uno slugthrower, del tipo che lei sapeva usare. Erano armi precise, che non avevano bisogno di munizioni. Comprimevano il pulviscono atmosferico e lo sparavano a una tale velocità da trasformarlo in un proiettile mortale. L’unico problema era che le batterie interne si ricaricavano con la luce del sole. E quelle, se risalivano alla Battaglia dell’Acqua, erano state sottoterra per almeno cinque anni.
Prew e Platone schizzarono fuori dalla baracca. Platone teneva sempre tutto il cibo in una sacca a tracolla, a parte le delicatezze come i ratti secchi e la crema di ragnoblatta, che stavano nella madia e sarebbero restate nella baracca. Era come se lui sapesse che prima o poi sarebbero dovuti fuggire.
Per colpa mia, pensò Prew.
I mastini si avvicinavano.
“Stanno arrivando dal quartiere dell’acqua. Sono in quattro, con una muta di cani” disse Snö. Prew era sicura che anche Platone lo sentisse, tanto era violenta l’intrusione del telepate.
“Mantieni la calma, ragazzo, o ci friggerai il cervello” disse a voce alta il coccodrillo. In effetti a Prew stava scoppiando un mal di testa colossale. La mente cercava sempre di controbattere all’intrusione di un telepate, anche quando lo si lasciava passare volontariamente.
Le luci del quartiere erano ormai accese. Dalle baracche provenivano i suoni tipici del mattino: borbottii, passi strascinati, e gli scatti secchi dei carrelli delle pistole.
“Prew, conosci il condotto dello scarico che scende dal 20?” chiese Snö.
Prew annuì. “So dov’è. Ci andavo — con dei clienti.”
La mente di Snö si ritrasse per una frazione di secondo. Prew capì che le sensazioni spiacevoli legate i suoi ricordi avevano colpito il telepate come uno pugno in faccia. “Bene, se vi arrampicate per quattro o cinque metri, sulla destra del condotto principale troverete un’entrata. Sembra un buco di ratti ma è un passaggio per il 20. Io li distrarrò. Ci vediamo di sopra.”